In Cerca di Vendetta

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Из серии: Un Mistero di Riley Paige #10
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In Cerca di Vendetta
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Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che include nove libri (e oltre). Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta da sei libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da quattro libri (e oltre); e della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Accanito lettore, da sempre appassionato di romanzi gialli e thriller, Blake apprezza i vostri commenti; pertanto siete invitati a visitare www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto.

Copyright © 2017 di Blake Pierce. Tutti i diritti sono riservati. Fatta eccezione per quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti d'America del 1976, nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né potrà essere inserito in un database o in un sistema di recupero dei dati, senza che l'autore abbia prestato preventivamente il consenso. La licenza di questo ebook è concessa soltanto ad uso personale. Questa copia del libro non potrà essere rivenduta o trasferita ad altre persone. Se desiderate condividerlo con altri, vi preghiamo di acquistarne una copia per ogni richiedente. Se state leggendo questo libro e non l'avete acquistato, o non è stato acquistato solo a vostro uso personale, restituite la copia a vostre mani ed acquistatela. Vi siamo grati per il rispetto che dimostrerete alla fatica di questo autore.  Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autore o sono utilizzati per mera finzione. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza. L’immagine di copertina è di proprietà di aradaphotography, usata su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

I MISTERI DI AVERY BLACK

IL KILLER DI COLLEGIALI (Libro #1)

CORSA CONTRO IL TEMPO (Libro #2)

FUOCO A BOSTON (Libro #3)

I MISTERI DI KERI LOCKE

UNA TRACCIA DI MORTE (Libro #1)

PROLOGO

Katy Philbin ridacchiava allegramente, mentre scendeva con attenzione le scale.

Basta! si disse.

Che cosa c’era di tanto divertente?

Come si stava comportando? Ridacchiava come una ragazzina e non come la diciassettenne che era in realtà!

Più di ogni altra cosa al mondo voleva comportarsi come da adulta.

Dopotutto, lui la trattava come tale e le aveva parlato in quel modo per tutta la sera, facendola sentire speciale e rispettata.

L’aveva persino chiamata la sua Katherine, invece di Katy.

E questo le piaceva davvero.

Aveva apprezzato molto anche i drink per adulti che le aveva offerto per tutta la sera: li chiamava “Mai Tais”, ed erano così dolci, che era riuscita a malapena a sentire il sapore dell’alcol.

E ora, non riusciva nemmeno a ricordare quanti ne avesse bevuti.

Era forse ubriaca?

Oh, sarebbe davvero grave! pensò.

Che cosa avrebbe pensato di lei se a malapena riusciva a gestire pochi drink ghiacciati e dolci?

In quel momento la ragazza si sentiva estremamente stordita.

Che cosa sarebbe successo se fosse caduta per quelle scale?

Si guardò i piedi, chiedendosi come mai non si stessero muovendo come avrebbero dovuto e perché la luce fosse così fioca.

Con suo grande imbarazzo, si rese conto di non ricordare neppure, con esattezza, il motivo per cui si trovasse lì su quelle scale di legno, che sembravano aumentare sempre di più.

“Dove stiamo andando?” chiese.

Quelle parole vennero fuori completamente confuse e disordinate, ma almeno era riuscita a smettere di ridacchiare.

“Te l’ho detto” le rispose. “Voglio mostrarti una cosa.”

L’adolescente si guardò intorno, cercandolo. Doveva essere da qualche parte in fondo alle scale, ma non riusciva a vederlo. L’unica fonte di luce era una lampada, che si trovava in un angolo distante.

Ma quella luce fu sufficiente a ricordarle dove si trovava.

“Oh, sì” mormorò allora. “Nella tua cantina.”

“Stai bene?”

“Sì” rispose, provando a convincersi che fosse vero. “Arrivo.”

Costrinse un piede a raggiungere lo scalino successivo.

Lo sentì dire: “Coraggio, Katy. Quello che ho promesso di mostrarti è proprio quaggiù.”

Realizzò debolmente …

Mi ha chiamata Katy.

Si sentì stranamente delusa, dopo che l’aveva chiamata Katherine per l’intera serata.

“Arrivo in un minuto” replicò.

Il suo farfugliare si palesò ancora di più.

E, per qualche ragione, trovò la cosa decisamente buffa.

Lo sentì sogghignare.

“Ti stai divertendo, Katy?” le chiese in tono piacevole, che le era sempre piaciuto e di cui si era fidata per tanti anni.

“Assolutamente” rispose, ridacchiando di nuovo.

“Ne sono contento.”

Ma, in quel momento, il mondo sembrò girarle intorno. Aggrappandosi al corrimani, si sedette sulle scale.

L’uomo riprese a parlare, ma stavolta in un tono meno paziente.

“Sbrigati. Non voglio restare qui tutto il giorno.”

Katy si rimise in piedi, senza riuscire a schiarirsi le idee. Non le piaceva quel tono di voce. Ma come poteva biasimarlo per essere diventato impaziente? Che cosa le stava succedendo? Perché non riusciva a scendere per quelle stupide scale?

Stava trovando sempre più difficoltà nel concentrarsi su dove fosse e che cosa stesse facendo.

Lasciò il corrimani, e si lasciò cadere a terra, sedendosi su uno scalino.

Si chiese di nuovo quanti drink avesse bevuto.

Poi, ricordò.

Due.

Solo due!

Naturalmente, non aveva più bevuto da quell’orribile notte …

Non fino ad ora. Ma solo due drink.

Per un istante, non riuscì a respirare.

Sta accadendo di nuovo?

Si accusò di aver agito da sciocca.

Era sana e salva lì, con un uomo di cui si era fidata per tutta la vita.

E si stava rendendo ridicola, e l’ultima cosa che voleva era fare proprio questo, specialmente davanti a lui, quando l’aveva trattata così bene e le aveva servito tutti quei drink e …

E ora, tutto era confuso, offuscato e cupo.

Avvertì una strana nausea formarsi dentro di sé.

“Non mi sento molto bene” disse.

Lui non rispose, e lei non riusciva a vederlo.

Non riusciva a vedere niente.

“Penso che farei … che farei meglio a tornare a casa ora” la ragazza riprese.

L’uomo continuò a restare in silenzio.

Lei si allungò alla cieca, andando a tentoni, agitando le mani nel vuoto.

“Aiutami, a scendere le scale. Aiutami a scendere le scale.”

Sentì i suoi passi venire verso di lei.

Lui mi aiuterà, pensò l’adolescente.

Allora perché quella turbolenta e nauseante sensazione peggiorava sempre di più?

“Acc – accompagnami a casa” disse. “Potresti farlo? Per favore?”

I passi cessarono.

Riusciva a sentire la sua presenza proprio di fronte a lei, anche se non riusciva a vederlo.

Ma perché continuava a restare in silenzio?

Perché non faceva nulla per aiutarla?

Poi, si rese conto di che cosa fosse davvero quella nauseante sensazione.

Paura.

Fece appello all’ultimo grammo di volontà, si allungò e si aggrappò al corrimani, e si mise in piedi.

Devo andarmene, pensò. Ma non riuscì a pronunciare quelle parole ad alta voce.

D’improvviso, Katy sentì un forte colpo alla testa.

E dopo, non riuscì a sentire più niente.

CAPITOLO UNO

Riley Paige faticava a trattenere le lacrime. Era seduta nel suo ufficio a Quantico e guardava una foto di una ragazza che aveva un proiettile nella caviglia.

Perché mi sto punendo in questo modo? si chiese.

Dopotutto, aveva bisogno di pensare ad altre cose al momento e, in particolare, al meeting al BAU, in programma pochi minuti più tardi. Riley temeva quel momento, che avrebbe potuto minacciare il suo futuro professionale.

Nonostante tutto, Riley non riusciva a distogliere lo sguardo da quella foto sul suo cellulare.

L’aveva scattata a Lucy Vargas l’autunno precedente, proprio lì, negli uffici dell’Unità di Analisi Comportamentale. La caviglia di Lucy era ferita, ma il suo sorriso era semplicemente radioso, un contrasto abbagliante rispetto alla sua liscia pelle dorata. Lucy era appena rimasta colpita durante il primo caso a cui aveva lavorato con Riley e il suo partner, Bill Jeffreys. Ma Lucy aveva svolto un ottimo lavoro, e lo sapeva; Riley e Bill erano orgogliosi di lei: ecco perché la giovane agente sorrideva.

La mano di Riley tremava un po’, mentre teneva in mano il cellulare.

Lucy ora era morta, uccisa da un folle assassino.

 

Era morta tra le sue braccia e Riley si sentiva responsabile di quella morte.

Avrebbe voluto che Bill provasse le sue stesse emozioni. Il suo partner era attualmente in licenza obbligatoria, e le cose non stavano andando affatto bene.

Riley sussultò al ricordo di come si erano svolte le cose.

La situazione si era rivelata caotica, e, invece di sparare all’assassino, Bill aveva sparato ad un innocente, che stava provando ad aiutare Lucy. Fortunatamente, l’uomo non era stato ferito gravemente, e nessuno aveva biasimato Bill per aver agito in tal modo, men che meno Riley, che non lo aveva mai visto tanto indebolito dal senso di colpa e dal trauma.

Si chiedeva spesso quando il suo partner sarebbe tornato a lavoro o se mai sarebbe tornato.

Le si chiuse la gola, al ricordo di quando aveva stretto Lucy tra le braccia.

“Hai una grande carriera davanti a te” Riley l’aveva pregata. “Ora resta con noi, Lucy. Resta con noi.”

Ma era stato inutile. Lucy aveva perso troppo sangue e Riley aveva sentito la vita abbandonare il corpo della giovane, finché non aveva emesso l’ultimo respiro.

E, ora, le lacrime cominciarono a rigarle le guance.

I suoi pensieri furono interrotti da una voce familiare.

“Agente Paige …”

Riley sollevò lo sguardo e vide Sam Flores, il tecnico di laboratorio con occhiali dalla montatura nera. Era sulla porta aperta del suo ufficio.

Riley soffocò un sussulto. Si asciugò frettolosamente le lacrime, e poggiò il cellulare a faccia in già sulla scrivania.

Ma comprese, dall’espressione affranta di Sam, che aveva colto ciò che lei stava guardando. E quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto.

Una storia d’amore stava nascendo tra Sam e Lucy, e lui aveva preso molto male la sua dipartita. Appariva ancora distrutto.

Flores guardò tristemente Riley, ma, con grande sollievo della donna, non fece alcuna domanda riguardo a ciò che aveva appena interrotto.

Invece, la invitò: “Sto andando al meeting. Vieni?”

Riley annuì, e Sam rispose a sua volta con un cenno.

“Allora, buona fortuna, Agente Paige” le disse, poi proseguì per la sua strada.

Riley borbottò ad alta voce tra sé e sé …

“Certo, buona fortuna.”

Sam sembrava intuire che lei ne avrebbe avuto bisogno per quel meeting.

Era giunto il momento di rimettersi in sesto, ed affrontare quello che la attendeva, qualunque cosa fosse.

*

Poco tempo dopo, Riley era seduta nell’ampia sala conferenze, insieme a molti più componenti del BAU di quanto si aspettasse: tra di loro c’erano tecnici e investigatori esperti in vari settori. Non tutti i volti le erano familiari, e non tutti erano amichevoli.

Potrebbe davvero servirmi un alleato in questo momento, pensò.

Certamente le mancava la presenza di Bill. Sam Flores era seduto vicino, ma sembrava troppo depresso per esserle di alcun aiuto in quell’occasione.

Il viso più ostile di tutti era quello dell’Agente Speciale Capo Carl Walder, che sedeva direttamente dall’altra parte del tavolo, di fronte a lei. L’uomo aveva un volto infantile e lentigginoso e spostava lo sguardo da Riley e un rapporto scritto, poggiato davanti a lui.

Esordì con una voce accigliata: “Agente Paige, sto provando a comprendere che cosa sta succedendo qui. Abbiamo ricevuto una richiesta di mandare degli agenti a casa sua ventiquattr’ore su ventiquattro. Sembrerebbe avere a che fare con le recenti attività di Shane Hatcher, ma non sono certo di capire come o perché. La prego di spiegare.”

Riley deglutì forte.

Sapeva che quel meeting sarebbe stato incentrato sul suo rapporto con Shane Hatcher, un evaso brillante e pericoloso.

Sapeva anche che una totale ed onesta spiegazione avrebbe significato la fine della sua carriera.

Avrebbe potuto persino farla finire in prigione.

Provò a rispondere: “Agente Walder, come lei sa, Shane Hatcher è stato visto per l’ultima volta in una baita di mia proprietà, sugli Appalachi.”

Walder annuì e aspettò che Riley proseguisse.

Riley sapeva di dover scegliere le parole molto attentamente. Fino a poco tempo prima, lei ed Hatcher avevano condiviso un patto segreto. In cambio dell’aiuto ricevuto nella risoluzione di un caso molto personale, Riley aveva accettato che Hatcher si nascondesse nella baita che aveva ereditato da suo padre.

Era stato un patto con il diavolo, e Riley ci ripensava con vergogna.

Riprese: “Come lei sa, Hatcher è sfuggito ad una squadra della SWAT dell’FBI, che aveva circondato la mia baita. Ho ragione di credere che possa andare a casa mia.”

Walder le rivolse una sospettosa occhiata.

“Che cosa glielo fa pensare?”

“Hatcher è ossessionato da me” Riley esclamò. “Ora che è stato scoperto, sono sicura che proverà a raggiungermi. In quel caso, gli agenti intorno a casa mia hanno una chance di catturarlo.”

Istintivamente Riley si fece piccola piccola.

Nella migliore delle ipotesi, quella era una mezza verità.

La vera ragione per cui voleva degli agenti disposti intorno alla sua casa era il desiderio di proteggere se stessa e la sua famiglia.

Walder restò seduto, tamburellando sul tavolo con le dita per un distante.

“Agente Paige, lei sostiene che Hatcher sia ossessionato da lei. E’ sicura che questa ossessione non sia reciproca?”

Riley si irritò a quell’insinuazione, ma fu confortata vedendo che il suo diretto superiore, Brenth Meredith, aveva deciso di intervenire.

Meredith aveva una presenza intimorente, come sempre del resto, con i suoi lineamenti scuri e spigolosi e il suo sguardo severo. Ma il rapporto con lui era sempre stato improntato al rispetto persino amichevole. L’uomo si era sempre rivelato suo alleato nei momenti di difficoltà e sperava che sarebbe stato così anche in questo momento.

L’uomo disse: “Capo Walder, penso che la richiesta dell’Agente Paige di disporre agenti intorno a casa sua sia ben fondata. Non dobbiamo rinunciare neppure alla minima possibilità di consegnare Hatcher alla giustizia.”

“Certo” Walder replicò. “E non posso dirmi soddisfatto del fatto che sapessimo esattamente dove fosse, eppure sia scappato via.” Walder  si alzò dalla sedia, e si rivolse direttamente a Riley: “Agente Paige, ha avvertito Hatcher che la squadra della SWAT stava per circondarlo?”

Riley sentì un sussulto nella stanza.

Non erano molte le persone che avrebbero avuto il coraggio di porle una tale domanda. Ma Riley fece uno sforzo per soffocare una risata. Quella era una domanda a cui poteva rispondere sinceramente: infatti era proprio la ragione per cui aveva paura di Hatcher ora.

“No, non l’ho fatto” rispose fermamente, sostenendo lo sguardo di Walder con decisione.

Walder abbassò per primo gli occhi. Si rivolse a Jennifer Roston, una giovane donna afro-americana, con corti capelli lisci, seduta a guardare Riley con occhi intensi.

“Ha delle domande, Agente Roston?” chiese.

Roston non disse nulla per un momento.

Riley attese in qualche modo ansiosamente la sua risposta. La Roston era stata assegnata al caso di Hatcher, affinché lo consegnasse alla giustizia. La giovane agente era nuova al BAU ed desiderosa di lasciare il segno. Riley non pensava di poterla considerare un’alleata.

La Roston aveva tenuto lo sguardo fisso su di lei, durante l’intero meeting, fino ad allora.

“Agente Paige, le dispiacerebbe spiegare l’esatta natura del suo rapporto con Shane Hatcher?”

Riley si irritò nuovamente.

Avrebbe voluto rispondere: Sì, mi dispiacerebbe. Mi dispiacerebbe molto.

La tattica della Roston le divenne chiara.

Alcuni giorni prima, l’aveva interrogata in privato su quello stesso argomento, proprio nella stessa stanza.

Ora la Roston intendeva chiaramente farle di nuovo le stesse domande, sperando di coglierla in contraddizione.

Evidentemente la giovane si aspettava che Riley cedesse sotto la pressione di un grande meeting come quello. E Riley sapeva bene che avrebbe fatto meglio a non sottovalutarla, perché era ben preparata in quei giochi mentali.

Parla il meno possibile, si disse. Sii estremamente accorta.

*

Dopo la conclusione del meeting, tutti lasciarono la stanza, ad eccezione di Riley.

Ora che era finito tutto, Riley si sentiva troppo scossa per alzarsi dalla sedia.

La Roston le aveva posto delle domande familiari: per esempio, quante volte fosse entrata in contatto con Hatcher, e come. Aveva anche domandato della morte di Shirley Redding, un’agente immobiliare che era andata alla baita contro il volere di Riley, ed era stata trovata morta proprio lì. La polizia non sospettava l’esistenza di un crimine, ma Riley era sicura che Hatcher l’avesse uccisa perché si era introdotta nel suo territorio e sentiva che anche la Roston sospettava la verità.

A tutte le domande della giovane agente, Riley aveva risposto con familiari menzogne.

Intuiva che la Roston era molto insoddisfatta.

Non è finita, pensò con un brivido. Per quanto ancora poteva sperare di nascondere la piena verità del suo rapporto con Hatcher?

Ma una preoccupazione di gran lunga più terrificante pesava sul suo cuore.

Che cosa avrebbe fatto ora, Shane Hatcher?

Sapeva che lui si sentiva amaramente tradito per il fatto che lei non l’avesse avvisato dell’arrivo della SWAT. Sicuramente aveva deciso di farsi vedere alla baita, permettendo all’FBI di avvicinarsi, solo per testare la lealtà della donna.

Dal punto di vista di Hatcher, lei aveva fallito il test.

Riley ricordò un messaggio ricevuto da lui, subito dopo …

“Vivrà per pentirsene. La sua famiglia no.”

Conosceva troppo bene Hatcher, per non prendere seriamente le sue minacce.

Riley rimase seduta al grosso tavolo, stringendo ansiosamente le mani.

Come ho potuto permettere che si arrivasse a questo? si chiese.

Perché aveva accettato la prosecuzione del suo rapporto con Hatcher persino dopo la sua evasione dalla prigione?

Alcune parole di Walder riecheggiarono nella sua mente …

“Agente Paige, lei sostiene che Hatcher sia ossessionato da lei. E’ sicura che questa ossessione non sia reciproca?”

Ora che era seduta lì, da sola, non poteva negare la verità che si celava dietro la domanda di Walder.

Hatcher aveva affascinato Riley sin dal loro primo incontro, avvenuto a Sing Sing, quando lei era andata in cerca del suo aiuto, vista la rilevante competenza dell’uomo come criminologo autodidatta. In effetti, tuttora ne era affascinata, anche adesso che si trovava a piede libero, con la sua genialità, la sua spietatezza e la sua particolare attenzione alla lealtà. Infatti, Riley sentiva un’inspiegabile legame con lui, un legame che Hatcher faceva di tutto per rinforzare e manipolare.

Era vero quello che le aveva detto più volte:

“Siamo uniti nella mente, Riley Paige.”

Riley rabbrividì al pensiero.

Aveva sperato di essere riuscita a rompere quel legame.

Ma, in quel modo, aveva fatto sì che l’ira di Shane Hatcher si volgesse contro le persone che più amava al mondo?

Proprio allora, Riley sentì una voce dietro di sé.

“Agente Paige …”

Riley si voltò e vide che Jennifer Roston era appena tornata nella stanza.

“Credo che lei ed io dovremmo parlare ancora” la giovane agente proseguì, sedendosi al tavolo, di fronte a Riley, che si sentì di nuovo spaventata.

Che asso nella manica poteva avere ora la Roston?

CAPITOLO DUE

Riley e Jennifer Roston erano sedute l’una di fronte all’altra nella sala conferenze, in silenzio ormai da quasi un intero minuto.

Quella suspense era più di quanto Riley potesse sopportare.

Finalmente, la Roston esordì: “E’ stata una bella recita, Agente Paige.”

Riley si sentì ferita ed arrabbiata.

“Non ne ho bisogno” ringhiò in risposta.

Fece per alzarsi dalla sedia e andarsene.

“No, non se ne vada” la Roston disse. “Non senza sentire ciò che ho in mente.”

Poi, con uno strano sorriso, aggiunse: “Potrebbe rimanere sorpresa.”

Riley era certa di sapere perfettamente che cosa la Roston avesse in mente: voleva distruggerla.

Ciò nonostante, Riley restò seduta. Qualunque cosa stesse accadendo tra lei e la Roston, era giunta l’ora di sistemarla. E, inoltre, era curiosa.

La Roston riprese: “Innanzitutto, penso che abbiamo iniziato col piede sbagliato. Ci sono stati dei fraintendimenti. Non ho mai voluto essere sua nemica. La prego di credermi. Io la ammiro. Molto. Sono venuta al BAU, entusiasta all’idea di lavorare con lei.”

 

Riley ne fu un po’ sconvolta. L’espressione del viso e il tono della voce della Roston sembravano perfettamente sinceri.

In verità Riley era rimasta profondamente impressionata da tutto ciò che aveva sentito dire sulla Roston: i suoi risultati all’Accademia erano impressionanti ed aveva già ottenuto degli encomi per il lavoro sul campo a Los Angeles.

E, ora, seduta lì a guardarla, Riley era di nuovo impressionata dall’atteggiamento della Roston. La donna era bassa ma robusta ed atletica, ed emanava energia ed entusiasmo.

Tuttavia quello non era il momento per Riley di elogiare la nuova agente. C’erano state semplicemente troppa tensione e sfiducia tra di loro.

Dopo una pausa, la Roston riprese: “Penso che ci sia molto che possiamo fare l’una per l’altra. Ora. Infatti, sono certa che entrambe vogliamo esattamente la stessa cosa.”

“Di che cosa si tratta?” chiese Riley.

La giovane sorrise e inclinò leggermente la testa.

“Mettere fine alla carriera criminale di Shane Hatcher.”

Riley rimase in silenzio.

Le ci vollero alcuni secondi per capire che le parole di Roston erano vere. Non considerava più Shane Hatcher un alleato ma, al contrario, era un nemico pericoloso. E doveva essere fermato, prima che facesse del male a qualcuno dei cari di Riley.

C’era un solo modo: doveva essere catturato o ucciso.

“Dimmi di più” Riley rispose infine.

La Roston poggiò la mano sul mento, e si allungò verso Riley.

“Dirò alcune cose” riprese la giovane agente. “Vorrei che mi ascoltasse senza dire niente. Non neghi o confermi ciò che dirò. Si limiti ad ascoltare.”

Riley annuì nervosamente.

“Il suo rapporto con Shane Hatcher è continuato anche dopo che è evaso da Sing Sing. In effetti, è diventato più stretto di prima. Ha comunicato con lui più di una volta, diverse volte, ne sono più che sicura, talvolta anche di persona. Lui l’ha aiutata nei casi ufficiali e l’ha aiutata anche in modi più personali. Il suo rapporto con lui è diventato, com’è il termine? Simbiotico.”

A Riley occorse un considerevole autocontrollo per non reagire a nessuna di quelle affermazioni.

Che erano tutte, naturalmente, assolutamente vere.

La Roston proseguì: “Sono quasi certa del fatto che lei fosse consapevole della sua presenza alla sua baita. Probabilmente era d’accordo con lui. Ma la morte di Shirley Redding non è stata un incidente. E non faceva parte del suo accordo. Hatcher è andato fuori controllo, e lei non vuole avere nulla a che fare con lui. Ma ha paura di lui. Non sa come rompere la connessione.”

Un inquietante silenzio cadde tra lei e la giovane collega. Riley si chiese come facesse a sapere tutto. Era inquietante. Ma Riley non credeva nella lettura della mente.

No, è solo una bravissima detective, pensò Riley.

Questa nuova agente era molto intelligente; in lei l’istinto e l’intuito sembravano essere forti quanto quelli della stessa Riley.

Ma che cosa stava provando a fare la giovane al momento? Stava tessendo una trappola, provando a indurre Riley a confessare tutto ciò che era successo tra lei e Hatcher?

In qualche modo, l’istinto di Riley le suggeriva qualcosa di diverso.

Ma avrebbe potuto fidarsi di lei?

La Roston stava sorridendo enigmaticamente, di nuovo.

“Agente Paige, pensa che io non sappia come si sente? Pensa che non abbia anch’io dei segreti? Pensa che io non abbia rimuginato in merito a un patto fatto con qualcuno con cui non mi sarei dovuta accordare? Mi creda, so esattamente cosa sta passando. Ha avuto una chance, e le regole devono essere infrante talvolta. Perciò, lei le ha infrante. Non molti agenti hanno il suo istinto. Voglio davvero essere d’aiuto.”

Riley studiò il volto della Roston, senza replicare. Rimase di nuovo colpita dalla sincerità della giovane agente.

Notò che un sorriso duro si stava formando agli angoli della bocca della Roston. Apparentemente, c’era qualcosa di oscuro dentro di lei, così come in Riley.

La Roston riprese: “Agente Paige, quando ho cominciato a lavorare al caso di Hatcher, lei mi ha dato accesso a tutti i file digitali che aveva su di lui. Tranne quello intitolato ‘PENSIERI’. Era nell’elenco, ma non sono riuscita a trovarlo. Lei mi ha detto di averlo cancellato. Aggiungendo che si trattava soltanto di appunti confusi e materiale superfluo.”

La Roston si appoggiò allo schienale della sua sedia, sembrando rilassarsi un po’.

Ma Riley era ben lungi dall’essere rilassata. Aveva avventatamente eliminato il file intitolato PENSIERI, che in realtà conteneva informazioni vitali relative ai movimenti finanziari di Hatcher, collegamenti che gli avevano consentito di restare a piede libero ed esercitare un potere considerevole.

La Roston disse: “Sono sicura che lei ha ancora quel file.”

Riley soppresse un brivido, derivato dal senso di allarme. In effetti aveva tenuto il file in una chiavetta USB. Aveva spesso pensato di cancellarlo, semplicemente, ma in qualche modo, non riusciva a farlo. L’incantesimo che Hatcher le aveva lanciato era davvero forte. E, forse, aveva pensato che avrebbe potuto usare quelle informazioni un giorno.

Invece di cancellarlo, era andata avanti, vivendo in uno stato d’indecisione.

In quel momento la chiavetta era nella sua borsetta.

“Sono anche sicura che quel file sia importante” la Roston riprese. “Infatti, potrebbe contenere informazioni necessarie per farmi togliere di mezzo Hatcher una volta per tutte. Ed entrambe vogliamo che ciò accada. Ne sono sicura.”

Riley deglutì.

Non devo dire niente, pensò.

Ma tutto quello che aveva detto la Roston non aveva davvero senso?

Quella chiavetta USB poteva certamente essere la chiave per liberare Riley dalle grinfie di Shane Hatcher.

L’espressione della Roston si ammorbidì ancora di più.

“Agente Paige, sto per farle una promessa solenne. Se le mi fornisce quelle informazioni, nessuno verrà mai a sapere che l’aveva nascoste. Non lo dirò ad anima viva. Mai.”

Riley sentì crollare la sua resistenza.

L’istinto la rassicurò in merito alla sincerità della giovane Roston.

Silenziosamente infilò la mano nella borsetta, estrasse la chiavetta USB, e la diede alla giovane agente. Gli occhi di quest’ultima si spalancarono lievemente, ma non disse una sola parola. Si limitò ad annuire e mise la chiavetta nella sua tasca.

Riley provò un disperato bisogno di rompere il silenzio.

“Desideri discutere d’altro, Agente Roston?”

L’altra rise un po’ sommessamente.

“La prego, mi chiami Jenn. E’ così che mi chiamano tutti i miei amici.”

Riley le rivolse un’occhiata incerta, mentre la Roston si alzò dalla sedia.

“In ogni caso, non mi permetterò di rivolgermi a lei se non come Agente Paige. Almeno fino a quando lei non si sentirà a suo agio altrimenti. Ma la prego. Mi chiami Jenn. Insisto davvero.”

La giovane lasciò la stanza, lasciando Riley seduta lì, in stupito silenzio.

*

Riley s’impose di riprendere il suo lavoro in ufficio. Ogni volta che non era impegnata in un caso, sembrava che tonnellate di noiosa burocrazia si riversassero su di lei e quel carico non si sarebbe esaurito finché non fosse tornata di nuovo sul campo.

Era sempre sgradevole. Ma oggi aveva molta difficoltà a concentrarsi su quello che aveva davanti. Temeva di aver commesso uno sciocco e terribile errore.

Perché mai aveva appena consegnato quel file a Jennifer Roston, o “Jenn”, come ora insisteva che Riley la chiamasse?

Era in sostanza una confessione, per quanto riguardava Riley.

Perché l’aveva data proprio a quell’agente, quando non l’aveva mostrata a nessun altro? Come poteva un’ambiziosa giovane agente evitare di riportare la trasgressione di Riley ai suoi superiori, forse persino allo stesso Carl Walder?

In qualsiasi istante, ormai, Riley avrebbe potuto essere arrestata.

Perché non si era limitata a cancellare il file?

O perché non se ne era sbarazzata, così come aveva fatto con il braccialetto d’oro che Hatcher le aveva regalato? La catena era un simbolo del loro legame. Conteneva anche un codice per contattarlo.

Riley l’aveva gettato via in un momento di grande agitazione, nello sforzo di liberarsi di lui.

Ma,  per qualche ragione, non era riuscita a ripetersi con la chiavetta USB.

Perché?

I dati finanziari che conteneva erano senz’altro sufficienti ad almeno limitare i movimenti e le attività di Hatcher.

Poteva bastare proprio quello per fermarlo definitivamente.

Era un enigma, così come lo erano vari aspetti del suo rapporto con Hatcher.

Mentre stava studiando dei documenti sulla sua scrivania, il suo cellulare si mise a squillare. Era un messaggio da un mittente sconosciuto. Riley trasalì, quando lo lesse.

Pensava che questo mi fermasse? Tutto è già cominciato. Non mi dica che non l’avevo avvertita.

Riley ebbe difficoltà a respirare.

Shane Hatcher, pensò.

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